giovedì 20 marzo 2014

Ciak, si gira! Anzi, no.

Il primo ciak: un giorno grigio...Ma diamine, non possiamo lavorare con un tempo così. Le immagini già sono piatte, figurarsi poi con un cielo scuro. Guardo mio fratello, lui guarda me: abbiamo sempre pensato a Secondigliano, il territorio del penitenziario, almeno, come ad un avamposto infernale. Ora, io so bene che la gran parte dei cittadini condanna i detenuti, e lo fa a prescindere, ma allora, vien da chiedersi, inutile parlare di diritti umani...Il mondo è decisamente vario: da un lato, i giustizialisti, dall'altro, gli integralisti. Ci vorrebbe più equilibrio: ma, per averne, occorre conoscere le cose. Ed è quello che dirà il nostro personaggio, nel film: "per conoscere un posto, bisogna conoscere le persone". Insomma, il Penitenziario di Secondigliano: d'inverno, umido, freddo, inospitale. D'estate, bollente, arido, invivibile. Non ha mezze misure: chissà, forse è per quello che è stato collocato lì. Orbene, chiunque giri un film in carcere, ha la "sua" storia in testa. Che spesso non ha a che fare con le storie dei prigionieri. Uno pensa al racconto, ma ne esce sconfitto: ciò che magari pensava di trovarci, in prigione, non c'è. E' stato così che abbiamo disposto la macchina per girare sull'immagine sporca, piovosa, poco nitida, che ci si presentava. E stavolta, ebbene sì, Giuliana avrebbe fatto l'attrice. Ma si oppose decisamente alla parte dialogata: il suo intento, piuttosto, sarebbe stato quello di accompagnare la storia. E così è andata. Nell'opera, i protagonisti sono gli ospiti dell'Ospedale Psichiatrico, proprio perché era di essi che ci volevamo occupare: attraverso le sbarre, ci interessava documentare l'umanità perduta. Possiamo salire ai piani?, abbiamo chiesto, circa due anni fa. Ma siete matti ?, ci è stato risposto. Non siamo riusciti a salire ai piani dove sono internati. Però, non abbiamo mollato. Solo, abbiamo dovuto inventarci un'altra via...

martedì 18 marzo 2014

Una troupe, non una truppa!

Ok, non potevamo avere una troupe, l'avremmo formata. Non potevamo avere la musica, magari l'avremmo composta. Cosa avremmo filmato ? La prima idea era riprendere un detenuto che ritorna a casa, magari una casa finta...Il direttore ci guarda, con occhi spalancati: "No!". Non si può fare, in effetti...cioè, gli internati escono abitualmente, ma non per manifestazioni singole, piuttosto per eventi, quali la presentazione di un disco, una giornata al mare...E quando escono, ci sono educatori, agenti, furgonati della polizia penitenziaria...Il fatto è che ci piaceva una prima idea: un internato sta per essere trasferito da un Istituto all'altro. Ma, per qualche motivo, l'auto della Polizia Penitenziaria si blocca nel traffico. Un guasto. I due agenti escono, per cercare di rimediare all'inconveniente. E magari l'internato si allontana, trovando un mondo che non era quello che aveva lasciato. Una prima idea, certo. Ma provate a trovare la traccia nel film fatto: i sogni si avverano. Basta essere tenaci, no ? E allora, per fare il film, cambiamo soggetto, almeno all'inizio. Intanto, cominciamo a lavorare con gli internati. Siamo in tre: io, Francesco e...Giuliana. Eh, sì: Giuliana avrebbe dato una mano con gli internati. Certo, in un carcere maschile, c'è sempre qualche difficoltà con le donne...Ma Giuliana sa farsi rispettare. E' lei che comincia a lavorare sull'educazione dei detenuti. Sono abituati a fare baldoria. A scatenarsi sul palco; a vivere l'arte nella confusione. Devono assumere un atteggiamento creativo, certo, ma con ordine. E lo devono fare in poco tempo. Mentre, allora, s'inizia a provare la recitazione, Francesco ed io cominciamo a scegliere l'attrezzatura da portare in carcere. "No!". Come, no ? Faretti, li abbiamo noi, ci viene detto. Ma non sono buoni...Le luci, avete quelle nella sala teatro. E le cineprese ? Le cineprese? Alla fine, furono autorizzate solo due videocamere, quattro obiettivi, un aggiuntivo grandangolare. Perché, ebbene sì, una volta entrata in carcere, l'attrezzatura non poteva più uscire! Ma qualche mezzo c'è sempre, per fare un film.....Anzi, per farlo crescere.

lunedì 17 marzo 2014

Scampia, oggi.

Siamo a casa, adesso. Francesco è di fronte a me: pensiamo ad una cosa semplice, facciamola in fretta...Anzi, no. Abbiamo sei mesi di tempo. macché: il computo dei permessi è orario. E allora ? Quando avremo finito le ore di progetto da fare, non ci consentiranno più l'accesso....Mmmm, si complica già tutto. Chi sono questi internati ? Leggo: "Soggetti dichiarati pericolosi per la società civile". Da chi ? Dal tribunale, va bene. Ma che hanno fatto ? Eh, no. Questo non si può sapere. Va bene, va bene: diciamo che, rispetto ad altri detenuti, non sono delinquenti abituali. E allora ? Tra poco, ci dicono, saranno messi in libertà. Veramente ? E allora è semplice: facciamo un film sulla fine degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari....Una parola! Possiamo contattare quell'attrice, ma sì: è un "nome", ci può dare qualche vantaggio. Il giorno dopo, davanti al direttore, ecco la risposta: "No". Cioè, l'attrice non può entrare. Non fa parte dell'associazione, non abbiamo tanti permessi da distribuire, non possiamo pagarne neppure le spese. la cassa piange,  ecc, ecc. Il carcere: quando tutto sembra semplice, diventa difficile. Torniamo a casa. Però, mentre torniamo, filmiamo il contesto. Ed il contesto, si sa, è Scampia. Questo non-quartiere napoletano. Un ghetto. Un fiume di cemento. Un carcere all'aperto. Le vele. La concezione futurista della cellula abitativa. Non persone che abitano dietro grattacieli con parabola. Al rientro, ecco la parola che fa scattare la scintilla: "La felicità, quando non la vedi, cercala dentro". Scritta, a caratteri cubitali lungo il ponte di Scampia. Saremmo partiti da lì. Dalla felicità. Pure senza attrice. Anzi, un'idea ce l'avevamo.....

domenica 16 marzo 2014

Rientro. La prima volta.

Avevamo lasciato da poco la casa circondariale, e pensavamo all'incontro con il direttore. Il fatto è che nel 2002 avevamo lavorato con il CDT, ovvero il Centro Detentivo Terapeutico. C'erano molti reclusi ammalati di AIDS, all'epoca. Già, l'AIDS: la peste degli anni '80. Nel ventennio che precedette il nostro primo lavoro in carcere, infatti, sembrava che il mondo sarebbe potuto estinguersi, sotto la minaccia della "peste" dell'amore! Si invitavano i ragazzi a stare attenti, a non pensare subito ad un incontro, a non socializzare troppo in fretta: dovunque, ma davvero dovunque, si nascondeva il germe del contagio ! E si susseguivano le storie: un'infermiera era stata invasa dal sangue di un infetto, mentre lo trasportavano in barella; un tossico era entrato in farmacia, minacciato con la siringa sporca la commessa, ritirato i farmaci (e i soldi) che voleva; due ragazzi, dopo un bacio (!!) prolungato si erano visti ammalati....Insomma, questo era il mondo dell'AIDS. E io e Francesco ci apprestammo, in quell'ormai lontano 2002, a fare un film con i detenuti ammalati di AIDS! Ma questa era acqua passata...Adesso, il direttore dell'OPG ci proponeva un progetto: magari sul teatro, che so, sulla recitazione, insomma, fate voi. Eh, no! Siamo professionisti, alla fine. Per il cinema, abbiamo girato ovunque: in Italia come in Europa, fatto centomila riprese, alcune buone, altre meno, ma tutte degne di essere viste, altroché! Ma ora, quello che mancava era l'ispirazione...Il carcere. Sant'Eframo. L'OPG. Primo, dovevamo mettere in fila questi avvenimenti. Infatti, anticamente, c'era il manicomio criminale. Poi, c'è stata la trasformazione in "Ospedale Psichiatrico Giudiziario", infine, dalla storica dimora di Sant'Eframo, i reclusi sono stati trasferiti al Penitenziario di Secondigliano....Avevano tolto l'area CDT, e creato un nuovo reparto. Era tutto come prima. Ma i detenuti, adesso, erano...internati.

sabato 15 marzo 2014

E' un giorno piovoso di autunno, l'anno è il 2011. Mi trovo, lì dove non dovrei mai trovarmi, con mio fratello, Francesco. Oltre le sbarre di Secondigliano - Centro Penitenziario. C'ero già stato, in verità. Dieci anni prima, più o meno. Il direttore era lo stesso; numerosi agenti, pure. Ma tante erano le facce nuove: soprattutto, medici, infermieri, educatori. Prima, non avevo mai pensato a quanta gente lavora in un istituto di reclusione: ogni detenuto, più o meno, sarà in minoranza, almeno per quattro ad 1. Ma sono solo riflessioni. La pioggia, fuori, non smette. Quanti giorni di pioggia, ci sono, in un anno ? Tanti, a Napoli. Va beh, tutti pensano che sia la Città del Sole, ma noi lo sappiamo che non è vero: c'è il mare, a farci compagnia, a volte solo malin-compagnia. Il direttore, eccolo. Questo, ho dimenticato di dirlo prima: non sono un detenuto. Neppure un addetto, che so, un sorvegliante, un agente, un educatore. E nemmeno un medico, manco un paramedico. Neppure mio fratello, lo è. Che ci facciamo, allora, dietro le sbarre ? Ce lo dice il direttore: qui, manco a farla apposta, è stato spostato il vecchio manicomio criminale. Prima, stavano a Sant'Eframo, i reclusi. Sant' Eframo ! L'ho sentito nominare centinaia di volte, 'sto edificio. Ma non me lo ricordo. Proprio no.