lunedì 17 marzo 2014

Scampia, oggi.

Siamo a casa, adesso. Francesco è di fronte a me: pensiamo ad una cosa semplice, facciamola in fretta...Anzi, no. Abbiamo sei mesi di tempo. macché: il computo dei permessi è orario. E allora ? Quando avremo finito le ore di progetto da fare, non ci consentiranno più l'accesso....Mmmm, si complica già tutto. Chi sono questi internati ? Leggo: "Soggetti dichiarati pericolosi per la società civile". Da chi ? Dal tribunale, va bene. Ma che hanno fatto ? Eh, no. Questo non si può sapere. Va bene, va bene: diciamo che, rispetto ad altri detenuti, non sono delinquenti abituali. E allora ? Tra poco, ci dicono, saranno messi in libertà. Veramente ? E allora è semplice: facciamo un film sulla fine degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari....Una parola! Possiamo contattare quell'attrice, ma sì: è un "nome", ci può dare qualche vantaggio. Il giorno dopo, davanti al direttore, ecco la risposta: "No". Cioè, l'attrice non può entrare. Non fa parte dell'associazione, non abbiamo tanti permessi da distribuire, non possiamo pagarne neppure le spese. la cassa piange,  ecc, ecc. Il carcere: quando tutto sembra semplice, diventa difficile. Torniamo a casa. Però, mentre torniamo, filmiamo il contesto. Ed il contesto, si sa, è Scampia. Questo non-quartiere napoletano. Un ghetto. Un fiume di cemento. Un carcere all'aperto. Le vele. La concezione futurista della cellula abitativa. Non persone che abitano dietro grattacieli con parabola. Al rientro, ecco la parola che fa scattare la scintilla: "La felicità, quando non la vedi, cercala dentro". Scritta, a caratteri cubitali lungo il ponte di Scampia. Saremmo partiti da lì. Dalla felicità. Pure senza attrice. Anzi, un'idea ce l'avevamo.....

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